da il Tirreno del 21/10/08
La difesa orgogliosa di Romagnoli «I nostri sono i numeri del buongoverno. I pratesi non mi bocciano»
Questa svolta nasce da un malessere profondo Lo ha detto anche la segretaria del Pd: è mancata la sintonia tra il partito e la città - PAOLO TOCCAFONDI
PRATO. Una penna che corre sul foglio, seduto con la testa china al suo tavolo in un angolo dell’enorme ufficio dal soffitto altissimo, nel palazzo comunale. La prima immagine di Marco Romagnoli rappresenta bene anche simbolicamente il suo momento, qualcosa tipo “la solitudine dello sconfitto”. Ma vista dalla stanza del sindaco, la decapitazione dell’amministrazione cittadina assume un carattere diverso.
Le cose dette e quelle che si colgono tra le righe danno l’idea di un sindaco che si sente certamente più la vittima dei problemi del suo partito, che non la causa da rimuovere (e di fatto rimossa) di quei problemi. Nell’intervista si parla di numeri ancora “fantomatici”, quelli del sondaggio, trapelati fin qui da lettere e conferenze stampa in attesa di poter vedere la ricerca. Ma la difesa orgogliosa del proprio lavoro comincia con altri numeri, gli stessi che Romagnoli ha preparato ieri per il suo intervento all’assemblea del Pd.
Sono le posizioni di Prato nelle varie classifiche apparse sui giornali, l’appiglio a cui poter agganciare un riscontro al proprio operato. «Quelle di Prato non sono le cifre di un fallimento - attacca Romagnoli - ma di un buon governo».
Perché allora i cittadini nel sondaggio hanno bocciato il sindaco? «Un momento. In quel sondaggio da parte dei cittadini c’è soprattutto una valutazione negativa del centrosinistra e del Pd. Alla domanda, “come giudica l’operato del sindaco”, il 47% dice “bene”. Non mi pare una bocciatura».
l’esito di questi giorni? «Il problema è che poi alla domanda se lo rivoterebbero, il 47% scende al 30 e crescono gli indecisi. Il sindaco ha operato bene, ma i cittadini sono incerti se votarlo di nuovo».
E infatti anche il Pd ne esce male. «Appunto. L’altro dato è che il Pd scende dal 46,6 al 36,6 e lo zoccolo duro resta al 25 con una quota consistente che dice “bisogna vedere”».
Insomma, il Pd sta peggio del sindaco. «C’è un problema che riguarda complessivamente l’immagine del governo e del partito».
Resta il fatto che con un sondaggio si è decapitata un’amministrazione. Una procedura inedita non trova? «Non c’è dubbio. Ieri sera un amico mi ha telefonato dicendomi di guardare la tv. C’era Veltroni intervistato da Fazio che diceva di “diffidare dei politici che operano le loro scelte in base ai sondaggi”. A parte le battute, se siamo persone serie, i sondaggi misurano i malumori, ma c’è differenza tra il sondaggio e il voto. Nel 2006 davano Prodi quattro punti avanti e poi si è vinto di niente. Tanto più che i due temi che i pratesi hanno messo in cima alle loro preoccupazioni - l’immigrazione e l’economia - sono temi della grande politica, più che dell’amministrazione locale».
E dunque perché la bocciatura? «E’ chiaro che la decisione non è stata presa sulla base di un sondaggio. C’è un malessere nel partito che è profondo e viene da lontano. Il sondaggio evidenzia e conferma alcuni elementi. Il segretario del Pd pratese ha parlato di mancata sintonia del partito con la città. La gravità di questa non sintonia è misurabile dal segnale così forte che si è voluto dare. Evidentemente si ritiene che occorra dare un fortissimo scossone al partito».
La accusano di non aver tenuto rapporti con il partito. L’accusa si aggiunge a un’impressione che si è sempre avuta: che lei fosse percepito come un “esterno” rispetto al gruppo dirigente del Pd, paracadutato alla guida della città per volontà di Martini quando si trattò di risolvere l’impasse del 2004 tra Del Vecchio e Giacomelli. E’ stato così? «Direi che la mancata sintonia è quella del partito con la città, come ha detto la segretaria. Io ho registrato la difficoltà nel gruppo dirigente di una piena condivisione delle scelte, a essere attivi e presenti su analisi e proposte».
Anzichè una resa dei conti in 24 ore, non si poteva rimettere in discussione l’operato suo e della giunta qualche mese fa, magari con un dibattito aperto sul futuro della città. Lei sarebbe stato disponibile? «Certamente. Quando ho annunciato la mia disponibilità a ricandidarmi, significava che anch’io ero in discussione, che volevo si aprisse una riflessione sul lavoro della giunta per arrivare a una decisione condivisa. Mi fu detto che era prematuro. Poi siamo arrivati a questo giro di ascolti a ottobre».
Due sono i temi su cui si gioca il giudizio negativo dei pratesi. Uno è l’immigrazione. «Sull’immigrazione abbiamo scelto l’unica strada possibile: accompagnare la tradizionale apertura della sinistra e l’accoglienza con un’attenzione puntuale alle regole e alla lotta all’illegalità economica. Questo non è stato percepito in maniera adeguata dalla città. E questa è una responsabilità di tutti. Quando ho tirato fuori la lotta all’illegalità mi sono preso di razzista anche da qualcuno del centrosinistra. Questo è un problema che il partito dovrà affrontare».
L’altra questione è la crisi economica. «Le amministrazioni hanno fatto quel che era in loro potere. Hanno tenuto sul fronte dei servizi, hanno aumentato l’impegno nel sociale, hanno tenuto ferme le tasse e le tariffe, cercato di dare sostegno alle imprese; hanno aperto un confronto con il governo regionale e nazionale, proposto un nuovo assetto urbanistico grandi progetti che potessero favorire la diversificazione e la ripresa economica (area Banci, università, centro ricerca, raddoppio del Pecci). E’ chiaro che questo non ha risolto il nodo fondamentale: la gente non ha soldi in tasca. L’impoverimento della città c’è ed è forte».
A volte la buona amministrazione non basta. C’è chi le rimprovera di non aver dato alla città una prospettiva di più ampio respiro. «La prospettiva l’abbiamo data. E’ fatta di più cultura, più università, nuovi settori (logistica e polo espositivo), di una centralità di Prato nell’area metropolitana. Per fare tutto questo i soldi il Comune non li aveva e non li ha, ma ci siamo dati da fare e li stiamo trovando».
I due problemi più sentiti erano gli stessi anche in un sondaggio di 4 anni fa. Ma stavolta i cittadini danno la colpa a voi. Cos’è cambiato? «Che in questi quattro anni le cose sono peggiorate. E dopo quattro anni di crisi, il pessimismo sul futuro è aumentato. Ma attenzione, il 58% ritiene che il centrosinistra vinca le elezioni; non c’è aumento di consensi al centrodestra; c’è un aumento di delusi e incerti nel centrosinistra. Ma Prato non è una città persa. E’ una città in cui il centrosinistra ha deluso sulla credibilità della propria proposta politica».
L’immigrazione spaventa. «I ceti popolari la temono più dei ceti medio-alti, che hanno bisogno della badante o della donna di servizio. Si teme la concorrenza sociale, che gli immigrati ci rubino il lavoro. Non è vero, ma è la paura che lo fa dire. L’immigrazione è temuta in una prospettiva economica, più che come una questione di ordine di pubblico».
Questo ci dice che forse immigrazione e crisi economica, nella percezione della gente, si saldano nel fatto che c’è una parte di economia cittadina, quella cinese, che prospera in gran parte grazie al sommerso. Con la differenza, rispetto al passato, che questa ricchezza prodotta non resta in città, non si redistribuisce, ma prende altre vie. E questo impoverisce Prato. «E’ quel che abbiamo ripetuto in questi mesi: le imprese devono stare nella legalità economica. Il “Patto per Prato sicura” va in questa direzione».
Non ha proprio niente da rimproverarsi? Le cito alcuni esempi: lo stop al progetto del Mercatale, la lentezza nel far decollare i progetti, qualche frizione di troppo con i comitati. «Mi rimprovero di essere stato totalmente impegnato a cercare la soluzione ai problemi e di aver curato poco, necessariamente, i rapporti politici e una comunicazione che facesse emergere con forza i risultati del nostro lavoro».
Si è detto: ci voleva un choc formidabile. Ora ci si attende una risposta all’altezza. Il suo successore è atteso come una specie di “salvatore della patria”. L’altra sera all’assemblea è stato applaudito chi ha chiesto che non vengano proposti “i soliti nomi”. Lei cosa si aspetta che accada? «Mi aspetto una generale assunzione di responsabilità da parte di tutti. Ognuno deve fare la propria parte per elaborare un progetto, recuperare credibilità, cambiare il modo di fare politica e rapportarsi alla gente. E bisognerà proporre uomini e donne che siano capaci di unire tutto il gruppo dirigente e rappresentino pienamente la volontà di cambiamento richiesta».
Come andranno scelti? «Con una discussione ampia nel partito. Poi lo statuto prevede le primarie, ma aldilà del fatto burocratico, le primarie sono necessarie, anche come grande momento di mobilitazione e rilancio del partito e per dare un’investitura popolare ai candidati».
Sarà dura mantenere motivata una giunta dal futuro segnato o quasi. «Restiamo perché dobbiamo concludere il lavoro iniziato con l’orgoglio di difendere il proprio operato e la certezza di rendere un servizio alla città».
Quanto le è costato dal punto di vista umano questo passo indietro? «Molto. Mi era costato anche lasciare il mio lavoro per fare il sindaco; sono stati anni durissimi, difficili, molto pesanti. Ora mi dispiace molto che il sacrificio di questi anni non abbia un giusto riconoscimento, che non ci sia una conclusione in cui si prenda atto del lavoro svolto, con i pregi e i limiti. Eppure è un lavoro importante fatto in una fase di poca credibilità della politica e di crisi profonda della città».
Si impegnerà ancora nel partito? «Eccome. Sabato mattina sono stato a prendere la tessera del Pd alla mia sezione della Pietà. Intendo dare il mio contributo anche non da sindaco».
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