da il Tirreno del 30/05/09 «Siamo asserviti solo alla legge» Il presidente del Tribunale replica alle accuse del centrodestra Genovese: il giudice Liguori è imparziale, ingenerose le critiche nei suoi confronti
PRATO Quelle accuse, la giustizia a orologeria e i giudici asserviti alla sinistra, non gli sono proprio andate giù. E così Francesco Antonio Genovese, presidente del Tribunale, di solito abbastanza riservato come richiede il suo ruolo, accetta di buon grado di rispondere alle domande dei cronisti sul caso Sasch che in questi giorni agita le acque della politica e non solo.
A Genovese preme dire intanto un paio di cose. Primo: «Noi giudici siamo asserviti sì, ma solo alla legge». Secondo: «L’orologeria di cui sento parlare, in questo caso è del tutto casuale».
Seduto nel suo studio al secondo piano del Palazzo di giustizia, il presidente del Tribunale ha la scrivania ingombra dei giornali che riportano le pesantissime affermazioni fatte dal deputato Riccardo Mazzoni e da altri del Pdl sull’operato dei giudici, o meglio del giudice dell’udienza preliminare che mercoledì ha rinviato a giudizio per uso di false fatture il presidente del consiglio di amministrazione di Sasch, Antonio Rosati, che è anche il cognato di Roberto Cenni, socio di riferimento dell’azienda.
Uno degli articoli è cerchiato in rosso. E’ quello che contiene un paio di frasi dell’avvocato Massimo Taiti, sostenitore di Cenni e candidato a presidente della Circoscrizione centro («Quel gip lo conosco: per la storia delle irregolarità sulle firme elettorali qualche anno fa ha mandato solo me in Cassazione, ma alla fine ho vinto io»).
«Ecco - commenta il presidente Genovese - Sono rimasto colpito non tanto o non solo dalla polemica politica (d’altra parte siamo in campagna elettorale), quanto dall’attacco dell’avvocato al giudice Liguori. Mi stupisce che dica certe cose un avvocato esperto come lui e voglio credere che sia il frutto di un momento di stizza».
Per la cronaca, lo scorso gennaio la Cassazione ha annullato senza rinvio il procedimento per le firme false e ha dichiarato estinto il reato per prescrizione, anche su richiesta del Pg presso la Cassazione.
«Il giudice Anna Liguori è una persona corretta che ha tutta la mia stima, una persona imparziale - aggiunge il presidente del Tribunale - Del resto anch’io sono stato invitato a diverse presentazioni dei candidati e non sono mai andato. Ci teniamo a distanza perché siamo terzi».
Ce n’è anche per l’avvocato Gaetano Berni, difensore di Antonio Rosati, che non è stato affatto tenero col gup («L’udienza è stata trattata in assenza del difensore legittimamente impedito», «Il giudice ha deciso senza neanche ascoltare la tesi dell’indagato», «Le leggi in materia non sono state correttamente applicate»).
«Ricordo, come avete già scritto, che c’erano già stati altri tre rinvii di quell’udienza - fa sommessamente notare Genovese - D’altra parte, se ci fosse stato rappresentato che il processo poteva incidere sulle elezioni, forse il giudice poteva anche valutare un eventuale rinvio. Ma queste ragioni di carattere politico non sono state avanzate. Basti pensare che il giudice ignorava perfino che la persona rinviata a giudizio avesse un qualche collegamento con un candidato alle elezioni».
Semmai, aggiunge il presidente Genovese, «quella dell’avvocato difensore è sembrata più che altro una manovra dilatoria». Insomma: un tentativo di far celebrare l’udienza dopo le elezioni per evitare il clamore.
Se è andata davvero così, evidentemente non si è calcolato che dopo tre rinvii sarebbero serviti motivi gravissimi per ottenere un quarto slittamento, tenuto conto anche dei termini per la prescrizione.
Paolo Nencioni
Le tappe della vicenda, dal 21 gennaio allo scorso giovedì Lo sconto chiesto dalla difesa
Le tappe del procedimento aiutano a capire come si è arrivati all’udienza di mercoledì e sgombrano il campo dai dubbi che si sia voluto colpire un candidato (sempre ricordando che Roberto Cenni non è né imputato né indagato). La richiesta di rinvio a giudizio è stata depositata il 21 gennaio, un mese e mezzo prima che Cenni annunciasse la sua candidatura. All’udienza preliminare fissata per il 25 marzo il difensore eccepisce un legittimo impedimento e si rinvia all’8 aprile. Qui c’è un fatto nuovo, perché, a differenza di quanto affermato giovedì dall’avvocato Berni, a Palazzo di giustizia fanno sapere che non è stata la Procura a proporre alla Sasch un patteggiamento per una pena pecuniaria inferiore ai 10.000 euro, ma è stata l’azienda, tramite l’avvocato, a chiederlo con insistenza. Avuto il consenso della Procura, però, all’udienza dell’8 aprile la difesa ha chiesto un secondo rinvio per valutare l’ipotesi del patteggiamento. Al terzo tentativo, il 15 maggio, la difesa comunica che non è più disponibile a patteggiare e ottiene il terzo rinvio, al 27 maggio. Il resto è storia di questi giorni.
Il penale e il tributario sono autonomi Due processi distinti «Nessuno ci ha rappresentato ragioni di opportunità politica per chiedere un rinvio E’ sembrata solo una manovra dilatoria»
UN concetto che non è stato sufficientemente compreso nella vicenda che ha coinvolto la Sasch è la separazione tra i procedimenti tributari e quelli penali. Altrimenti non si comprenderebbero nemmeno la sorpresa e le spiegazioni fornite a caldo da Roberto Cenni. Pensavamo di aver risolto tutto con una transazione davanti all’Agenzia delle entrate nel 2004, ha detto il candidato imprenditore. E questo è vero, ma quello che è stato risolto è solo l’aspetto tributario. Il procedimento penale è autonomo, e se la Procura ritiene che sia stato commesso un reato, lo persegue. In questo caso il reato è l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Quindi, non semplici irregolarità formali, ma atti dolosi (nell’ipotesi dell’accusa) per evadere le tasse.
LA POLEMICA
Caro Toccafondi, ti rubo un po’ di spazio, ovviamente se me lo concedi, per replicare al tuo commento sul caso Sasch. Nella conferenza stampa in cui nel mio piccolo, come hai giustamente sottolineato, ho parlato di “agguato” elettorale a Cenni, ho premesso due cose che non hanno trovato spazio nell’articolo del tuo bravo cronista: 1) massimo rispetto per il giornale che ha riportato la notizia; 2) se fossimo in un Paese normale, in cui non ci sono mai stati intrecci preelettorali tra politica e giustizia, la conferenza stampa non avrebbe avuto ragione neppure di essere convocata.
Ma la storia italiana degli ultimi 15 anni ci porta purtroppo ad altre riflessioni, e il comportamento del gip pratese che ha perfino ignorato un legittimo impedimento dell’avvocato difensore per procedere immediatamente col rinvio a giudizio non pare proprio essere un atto di serenità giudiziaria.
Tu chiedi dove io abbia visto il violento attacco a Cenni. Ti spiego l’insondabile mistero. Non è stato forse il Tirreno a parlare di “fulmine sulle elezioni” mentre Cenni, in questa vicenda, non risulta nemmeno indagato? E a scrivere che sì, insomma, il proprietario della Sasch non poteva non sapere, formuletta magica di borrelliana memoria? E a sostenere, infine, che questa vicenda giudiziaria avrebbe avuto sicure ripercussioni sul voto, con tanto di locandina a titoli cubitali? Giornalisticamente, un piccolo capolavoro.
Ma forse nel tuo commento ti saresti potuto risparmiare - salendo in cattedra - la chiosa sull’onestà del giornalismo che fa il Tirreno insinuando invece una mia presunta disonestà intellettuale quando dirigevo il Giornale della Toscana. Ognuno cerca di fare questo difficile mestiere nel miglior modo possibile, ma nessuno è mai veramente imparziale: fa parte della natura umana e soprattutto della linea politica dell’editore che ti assume. Quindi caro Toccafondi non ti indignare se leggendo questo scoop giudiziario del Tirreno sul caso Sasch ho sentito odor di strumentalizzazione elettorale. E se continuo a pensare che anche tu, nel tuo piccolo, sei rimasto coinvolto nel circuito mediatico-politico-giudiziario che avvelena la vita politica italiana da troppi anni. Buon lavoro,
Riccardo Mazzoni
Il procuratore e il presidente del Tribunale hanno spiegato le ragioni per cui questa vicenda è venuta fuori in questi giorni. Per parte nostra abbiamo coscienza di aver fatto il nostro lavoro correttamente. E mi riesce difficile conciliare il “massimo rispetto verso il nostro giornale” con l’accusa che ci viene rivolta di esserci sostanzialmente prestati a una manovra di killeraggio. Ripeto soltanto che dare una notizia (e che lo fosse non si può negare: e quindi degna di titolo e locandina) non è necessariamente un “attacco”, una “difesa” o un “agguato”, definizioni che presuppongono una volontà malevola o eterodiretta. Non è il nostro caso. Poi ognuno può continuare a guardare la realtà con gli occhiali che si è scelto. (p.t.)
PRATO Quelle accuse, la giustizia a orologeria e i giudici asserviti alla sinistra, non gli sono proprio andate giù. E così Francesco Antonio Genovese, presidente del Tribunale, di solito abbastanza riservato come richiede il suo ruolo, accetta di buon grado di rispondere alle domande dei cronisti sul caso Sasch che in questi giorni agita le acque della politica e non solo.
A Genovese preme dire intanto un paio di cose. Primo: «Noi giudici siamo asserviti sì, ma solo alla legge». Secondo: «L’orologeria di cui sento parlare, in questo caso è del tutto casuale».
Seduto nel suo studio al secondo piano del Palazzo di giustizia, il presidente del Tribunale ha la scrivania ingombra dei giornali che riportano le pesantissime affermazioni fatte dal deputato Riccardo Mazzoni e da altri del Pdl sull’operato dei giudici, o meglio del giudice dell’udienza preliminare che mercoledì ha rinviato a giudizio per uso di false fatture il presidente del consiglio di amministrazione di Sasch, Antonio Rosati, che è anche il cognato di Roberto Cenni, socio di riferimento dell’azienda.
Uno degli articoli è cerchiato in rosso. E’ quello che contiene un paio di frasi dell’avvocato Massimo Taiti, sostenitore di Cenni e candidato a presidente della Circoscrizione centro («Quel gip lo conosco: per la storia delle irregolarità sulle firme elettorali qualche anno fa ha mandato solo me in Cassazione, ma alla fine ho vinto io»).
«Ecco - commenta il presidente Genovese - Sono rimasto colpito non tanto o non solo dalla polemica politica (d’altra parte siamo in campagna elettorale), quanto dall’attacco dell’avvocato al giudice Liguori. Mi stupisce che dica certe cose un avvocato esperto come lui e voglio credere che sia il frutto di un momento di stizza».
Per la cronaca, lo scorso gennaio la Cassazione ha annullato senza rinvio il procedimento per le firme false e ha dichiarato estinto il reato per prescrizione, anche su richiesta del Pg presso la Cassazione.
«Il giudice Anna Liguori è una persona corretta che ha tutta la mia stima, una persona imparziale - aggiunge il presidente del Tribunale - Del resto anch’io sono stato invitato a diverse presentazioni dei candidati e non sono mai andato. Ci teniamo a distanza perché siamo terzi».
Ce n’è anche per l’avvocato Gaetano Berni, difensore di Antonio Rosati, che non è stato affatto tenero col gup («L’udienza è stata trattata in assenza del difensore legittimamente impedito», «Il giudice ha deciso senza neanche ascoltare la tesi dell’indagato», «Le leggi in materia non sono state correttamente applicate»).
«Ricordo, come avete già scritto, che c’erano già stati altri tre rinvii di quell’udienza - fa sommessamente notare Genovese - D’altra parte, se ci fosse stato rappresentato che il processo poteva incidere sulle elezioni, forse il giudice poteva anche valutare un eventuale rinvio. Ma queste ragioni di carattere politico non sono state avanzate. Basti pensare che il giudice ignorava perfino che la persona rinviata a giudizio avesse un qualche collegamento con un candidato alle elezioni».
Semmai, aggiunge il presidente Genovese, «quella dell’avvocato difensore è sembrata più che altro una manovra dilatoria». Insomma: un tentativo di far celebrare l’udienza dopo le elezioni per evitare il clamore.
Se è andata davvero così, evidentemente non si è calcolato che dopo tre rinvii sarebbero serviti motivi gravissimi per ottenere un quarto slittamento, tenuto conto anche dei termini per la prescrizione.
Paolo Nencioni
Le tappe della vicenda, dal 21 gennaio allo scorso giovedì Lo sconto chiesto dalla difesa
Le tappe del procedimento aiutano a capire come si è arrivati all’udienza di mercoledì e sgombrano il campo dai dubbi che si sia voluto colpire un candidato (sempre ricordando che Roberto Cenni non è né imputato né indagato). La richiesta di rinvio a giudizio è stata depositata il 21 gennaio, un mese e mezzo prima che Cenni annunciasse la sua candidatura. All’udienza preliminare fissata per il 25 marzo il difensore eccepisce un legittimo impedimento e si rinvia all’8 aprile. Qui c’è un fatto nuovo, perché, a differenza di quanto affermato giovedì dall’avvocato Berni, a Palazzo di giustizia fanno sapere che non è stata la Procura a proporre alla Sasch un patteggiamento per una pena pecuniaria inferiore ai 10.000 euro, ma è stata l’azienda, tramite l’avvocato, a chiederlo con insistenza. Avuto il consenso della Procura, però, all’udienza dell’8 aprile la difesa ha chiesto un secondo rinvio per valutare l’ipotesi del patteggiamento. Al terzo tentativo, il 15 maggio, la difesa comunica che non è più disponibile a patteggiare e ottiene il terzo rinvio, al 27 maggio. Il resto è storia di questi giorni.
Il penale e il tributario sono autonomi Due processi distinti «Nessuno ci ha rappresentato ragioni di opportunità politica per chiedere un rinvio E’ sembrata solo una manovra dilatoria»
UN concetto che non è stato sufficientemente compreso nella vicenda che ha coinvolto la Sasch è la separazione tra i procedimenti tributari e quelli penali. Altrimenti non si comprenderebbero nemmeno la sorpresa e le spiegazioni fornite a caldo da Roberto Cenni. Pensavamo di aver risolto tutto con una transazione davanti all’Agenzia delle entrate nel 2004, ha detto il candidato imprenditore. E questo è vero, ma quello che è stato risolto è solo l’aspetto tributario. Il procedimento penale è autonomo, e se la Procura ritiene che sia stato commesso un reato, lo persegue. In questo caso il reato è l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Quindi, non semplici irregolarità formali, ma atti dolosi (nell’ipotesi dell’accusa) per evadere le tasse.
LA POLEMICA
Caro Toccafondi, ti rubo un po’ di spazio, ovviamente se me lo concedi, per replicare al tuo commento sul caso Sasch. Nella conferenza stampa in cui nel mio piccolo, come hai giustamente sottolineato, ho parlato di “agguato” elettorale a Cenni, ho premesso due cose che non hanno trovato spazio nell’articolo del tuo bravo cronista: 1) massimo rispetto per il giornale che ha riportato la notizia; 2) se fossimo in un Paese normale, in cui non ci sono mai stati intrecci preelettorali tra politica e giustizia, la conferenza stampa non avrebbe avuto ragione neppure di essere convocata.
Ma la storia italiana degli ultimi 15 anni ci porta purtroppo ad altre riflessioni, e il comportamento del gip pratese che ha perfino ignorato un legittimo impedimento dell’avvocato difensore per procedere immediatamente col rinvio a giudizio non pare proprio essere un atto di serenità giudiziaria.
Tu chiedi dove io abbia visto il violento attacco a Cenni. Ti spiego l’insondabile mistero. Non è stato forse il Tirreno a parlare di “fulmine sulle elezioni” mentre Cenni, in questa vicenda, non risulta nemmeno indagato? E a scrivere che sì, insomma, il proprietario della Sasch non poteva non sapere, formuletta magica di borrelliana memoria? E a sostenere, infine, che questa vicenda giudiziaria avrebbe avuto sicure ripercussioni sul voto, con tanto di locandina a titoli cubitali? Giornalisticamente, un piccolo capolavoro.
Ma forse nel tuo commento ti saresti potuto risparmiare - salendo in cattedra - la chiosa sull’onestà del giornalismo che fa il Tirreno insinuando invece una mia presunta disonestà intellettuale quando dirigevo il Giornale della Toscana. Ognuno cerca di fare questo difficile mestiere nel miglior modo possibile, ma nessuno è mai veramente imparziale: fa parte della natura umana e soprattutto della linea politica dell’editore che ti assume. Quindi caro Toccafondi non ti indignare se leggendo questo scoop giudiziario del Tirreno sul caso Sasch ho sentito odor di strumentalizzazione elettorale. E se continuo a pensare che anche tu, nel tuo piccolo, sei rimasto coinvolto nel circuito mediatico-politico-giudiziario che avvelena la vita politica italiana da troppi anni. Buon lavoro,
Riccardo Mazzoni
Il procuratore e il presidente del Tribunale hanno spiegato le ragioni per cui questa vicenda è venuta fuori in questi giorni. Per parte nostra abbiamo coscienza di aver fatto il nostro lavoro correttamente. E mi riesce difficile conciliare il “massimo rispetto verso il nostro giornale” con l’accusa che ci viene rivolta di esserci sostanzialmente prestati a una manovra di killeraggio. Ripeto soltanto che dare una notizia (e che lo fosse non si può negare: e quindi degna di titolo e locandina) non è necessariamente un “attacco”, una “difesa” o un “agguato”, definizioni che presuppongono una volontà malevola o eterodiretta. Non è il nostro caso. Poi ognuno può continuare a guardare la realtà con gli occhiali che si è scelto. (p.t.)
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